Salone Cadorin →

Salone Cadorin

La scenografia decó e trasognata
all’interno del Grand Hotel Palace

Oggi vi invitiamo al party più brillante della storia, e per l’occasione vi vogliamo sofisticati e briosi, perché stiamo per raccontarvi un luogo – e un’epoca – scoppiettante e impossibile da dimenticare.

Difficile trovare, nella grandezza della Roma antica e barocca che a nessuno sfugge, una chicca come questa, ben nascosta all’interno del monumentale Grand Hotel Palace di via Veneto che fu trionfalmente inaugurato nel 1927 con il nome di Hotel Ambasciatori, architettura-gioiello disegnata da Marcello Piacentini e divenuta presto il punto di ritrovo del jet-set di allora.

Il Salone Cadorin, fulcro dell’hotel, con i suoi pavimenti in marmo, le vetrate colorate e i lampadari in cristallo di Murano è uno spazio dalle suggestioni liberty e decó di raro splendore, che ci racconta di un passato festoso e perduto, scintillante ed effimero.

Un salone delle feste che prese il nome dal maestro veneziano Guido Cadorin (artista voluto, tra gli altri, da Gabriele d’Annunzio per la decorazione della Cella dei Puri Sogni al Vittoriale), che tra il 1926 e il 1927 ne affrescò le pareti, rappresentando il bel mondo di quegli anni ‘20 a cui da sempre guardiamo con un misto di desiderio e malinconia.

Sui muri infatti sono ritratti in sequenza (e, ovviamente, in abito da sera) ambasciatori, nobildonne e uomini politici che hanno vissuto la sfavillante atmosfera da Belle Époque, divenendone essi stessi un simbolo, con la propria elegante abitudine al baciamano, le frange caratterizzanti, i fili di perle, gli abiti con scollature profonde sulla schiena.

Tra di essi ecco ritratti i contemporanei dello stesso Cadorin: Marcello Piacentini in primis, un Giò Ponti che sorride ironico, Margherita Sarfatti – amante del duce – con la figlia Fiammetta.

Immersi in una scenografia esotica, sospesa e trasognata che come nessun’ altra ci restituisce il fascino della café-society del primo novecento, pare quasi di riuscire a sentire le loro voci, brusii di uomini e donne che conversano amabilmente, fumando, parlando di tutto e di niente, in una festa senza fine che è un resoconto d’epoca di grande forza evocativa, ma soprattutto un inno al bel mondo e alla gaiezza.